lunedì 22 ottobre 2007

Le samourai

Titolo: Frank Costello faccia d'angelo
Regia: Jean-Pierre Melville
Produzione: Francia 1967
Durata:107'

Jeff Costello è un killer solitario. Verso sera, và in un night –club e uccide il proprietario. Valerie , la pianista lo vede. Lui ha un alibi di ferro: metà serata l’ha passata con la sua amante, Jeanne,prostituta d’alto bordo,l’altra metà giocando a poker. Il commissario che segue le indagini non gli crede. I mandanti dell’omicidio, viste le complicazioni, tentano di eliminare Jeff, che però si salva. Il commissario invece vorrebbe costringere Jeanne a confessare il falso alibi. Per il killer un nuovo contratto: prima però uccide il mandante. Il suo bersaglio designato è Valerie,testimone scomoda. Lui l’avvicina nel club e la polizia gli spara. La sua pistola era scarica.
“Non vi è solitudine più profonda di quella del samurai,se non quella di una tigre nella giungla.. forse..” è la didascalia che apre il film e che contiene in se tutti gli elementi cari a Melville e che contraddistinguono il suo cinema. Il cinema per Melville era mistificazione e in questo caso lo evidenzia subito mostrandoci una finta citazione dal Bushido che ci permette però di conoscere qual è il “credo” del suo autore e di conseguenza del suo “samurai”. Il suo è un cinema che non obbedisce a regole di psicologia a buon mercato,è un cinema di comportamenti che pedina il suo protagonista scavando nella ritualità delle sue azioni .
Di questo film mi ritornano in mente due scene in particolare: la sequenza d’apertura, dove si vede Jeff che fuma sdraiato sul suo letto e con alla destra la gabbia del suo uccellino, e dove è già possibile notare , vista l’essenzialità degli oggetti e la loro disposizione, l’eccessiva maniacalità del personaggio. La seconda scena è quella in cui ruba un automobile e prova la chiave d’accensione rimanendo glaciale al passaggio delle altre auto. Molto bravo in tal senso Alain Delon che è riuscito ad eliminare ogni traccia d’emozione sul suo volto. Questo film è il punto di svolta della carriera di Melville, il suo più rigoroso e stilisticamente “rarefatto”; in quella che potrebbe sembrare una classica storia poliziesca è riuscito, evitando ogni concessione alla spettacolarità dell’azione, a realizzare una parabola sulla solitudine umana.

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