mercoledì 3 ottobre 2007

Salvator Dalì e il cinema

Esiste un denominatore comune che unisce le opere di Luis Bunuel, Alfred Hitchcock e Walt Disney e questo denominatore è una delle personalità più dotate ed eccentriche del novecento: Salvador Dalì. Non ho ne la competenza ne il tempo per poter scavare nel personaggio Dalì , mi accontento di delineare i rapporti che hanno legato il grande pittore al mondo della pellicola. Mi sembra naturale iniziando dalla settimana trascorsa a Figueres nel 1928, con il suo amico Luis Bunuel, durante la quale le immagini scaturite dai loro cervelli, girate e montate in volontaria assenza di controllo razionale, danno vita ad “Un chien andalou”. In quei venti minuti di totale e sfrenata libertà espressiva, gli apporti individuali dei due artisti emergono chiaramente: la nuvola sulla luna e l’occhio tagliato sono un idea di Bunuel, la mano piena di formiche, il voyerismo, la relazione fra il sesso e la morte, per non parlare del cameo dove interpreta un prete attaccato ad un pianoforte fanno tutte parte dell’immaginazione di Dalì. E’ un peccato che già per il film successivo, “L’age d’or”, l’armonia fra i due si sia rovinata, con Dalì più lontano che mai dalle dinamiche del gruppo surrealista e ostile nei confronti di Bunuel per le sue idee profondamente anticlericali. Passiamo al 1945, anno in cui Hitchcock sta per iniziare a girare “ Io ti salverò”, un thriller con risvolti psicanalitici. Per evitare in modo originale le scene oniriche, evitando così di ricorrere alle classiche soluzioni visive come la nebbia che circonda il bordo dell’immagine o lo schermo che trema ecc., Hitchcock chiede al suo produttore di ingaggiare Dalì: ma non per ragioni pubblicitarie, come pensa il produttore, ma per il segno netto e chiaro delle sue idee. La collaborazione si concretizza, ma di tutti i visionari e costosi progetti dell’artista nel film finito non rimane molto: il sogno che ossessiona Gregoy Peck viene “compresso” in una sequenza che dura un minuto e mezzo, divisa in tre parti, al cui interno si trovano alcuni elementi tipici di Dalì come le deformazioni della prospettiva o gli oggetti “molli”.
Il terzo incontro col cinema si ebbe verso la fine del 1945 dopo le riprese di “Io ti salverò”, quando Dalì raggiunse Walt Disney il quale era ansioso di mettere in piedi un’altra produzione “artistica” dopo “Fantasia”. L’idea era quella di produrre “Destino”, un cortometraggio da musicare con una ballata del compositore messicano Armando Dominguez ed eseguita dalla cantante Dona Cruz, purtroppo poi i soldi finirono e l’idea venne accantonata. In seguito, dopo oltre cinquant’anni la Disney ha messo in piedi un team guidato da John Hench, che era l’assistente di Dalì durante la sua permanenza negli studi, e dal regista francese Dominique Monfery, con il compito di utilizzare gli oltre 150 fra storyboard, schizzi, disegni e dipinti che sono rimasti inutilizzati. Dopo un lungo lavoro filologico di restauro e utilizzando la computer grafica nel 2003 il cortometraggio “Destino” è stato terminato: sei minuti in cui le forme in continuo cambiamento di Dalì si concretizzano nell’ultima eredità che ha lasciato al cinema.

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